La vita di Angelo è tutta lì, sul fondo di una bottiglia. Vino rosso, di quello che costa poco e rincoglionisce tanto. Ubriaco di professione a poco più di cinquant'anni. Mattino, pomeriggio, sera: ogni giorno una ruota che gira uguale. Dopo il tramonto lo trovi alla stazione ferroviaria del paese, appoggiato alla sua bici. Si scola allegro gli ultimi barlumi di lucidità. Additivi chimici addizionati al mosto rendono veleno stordente quello che lui considera nettare. Come faccia ogni sera a tornare incolume a casa su quel trabiccolo a due ruote è mistero poco gaudioso. Angelo non vorrebbe tornare in quel tugurio, sono anni che non vuole più. È vuoto, spogliato di ogni affetto. Moglie e figlio sono andati via, lavoro e dignità scappati insieme a loro. Resta solo il rimpianto, ma Angelo ci sta lavorando. Un'altra bottiglia, una sola, e anche quello sarà un ricordo sbiadito, per questa notte.
Quando Angelo va via, sono le otto di
sera, in stazione arriva Andrea. Lui, a differenza del primo, non ha
un tetto dove ripararsi. Ventidue anni, ha eletto la sala d'aspetto a
casa, una panca di legno a letto. Si siede, distende le gambe,
rilassa la schiena, si appisola. Non ha una coperta per ripararsi dal
freddo, ma pensa che è giovane, può farcela a resistere. La gente
gli passa accanto guardandolo schifata. È sudicio, la sporcizia
incrosta la pelle e fa compagnia al puzzo di urina mescolato a quello
di birra e sigarette. Punkabbestia, barbone, vagabondo, chiamatelo
come preferite. Ad Andrea non importa, le etichette non gli sono mai
piaciute. E le altre persone (la "gente normale") lo ripugnano,
forse più di quanto lui non faccia loro ribrezzo. Sta sereno, però,
le ignora e tiene gli occhi chiusi, a schermare la luce dei neon
della sala d'aspetto. Vuole solo dormire, per questa notte.
Vincenzo, per tutti Enzo, li vede
entrambi. La mattina alle 7.30, quando va a prendere il treno diretto
a Milano, Andrea sta ancora dormendo su quella panchina. La sera,
alle 18.30, quando torna in paese dopo una giornata di lavoro, Angelo
ha appena iniziato a vuotare la bottiglia. Enzo li odia, perché ha
paura. Paura di finire come loro. Solo, abbandonato da tutti. È un
precario. Precario del lavoro, precario della vita. L'unica certezza
che ha è la data di scadenza sul suo contratto, due mesi a partire
da oggi, lavoro a progetto. Con obbligo di presenza in ufficio dalle
9 alle 17.30, ma questo nel contratto non c'è scritto. Zero ferie,
zero malattie, tante responsabilità. Un affitto e le bollette da
pagare, come tutti. Enzo vede Angelo ed Andrea e si sente sospeso su
un filo, come un equilibrista. Forse dopo troverò qualcos'altro,
pensa, ho lasciato apposta la Calabria, i miei sforzi saranno
premiati. Meglio sognare, per questa notte.