martedì 31 luglio 2012

Bye bye Raffaele

E' stato di parola. Aveva annunciato le sue dimissioni il 31 luglio, e oggi Raffaele Lombardo ha lasciato la presidenza della Regione Siciliana. Cosa resta di quattro anni abbondanti di legislatura? Un paio li ho seguiti attivamente per lavoro, gli ultimi da spettatore lontano ma interessato. Un'idea me la sono fatta, non necessariamente originale. Lo hanno chiamato "il grande divisore". Il pezzo di Salvo Toscano su LiveSicilia la dice lunga su quello che il leader dell'Mpa ci lascia in eredità. Confusione, politica e non. L'ex governatore siciliano non si è fatto mancare niente. Ha sfasciato l'alleanza di centrodestra che lo ha portato a Palazzo d'Orleans, ha messo contro il Pdl e l'Udc prima, Miccichè e i berluscones poi, ha diviso il Partito Democratico (impresa in realtà nemmeno tanto difficile da compiere). Tutto in un crescendo che ha lasciato sul campo morti e feriti. Compreso lui, il presidente della Regione. Inutile negarlo. Quella che all'inizio era stata la sua forza, alla fine si è trasformata in un'arma a doppio taglio. A furia di rompere e riaggiustare, i pezzi si sono talmente frammentati che a Lombardo la colla non è più bastata per rimetterli insieme. Abbandonato anche dallo stato maggiore del suo stesso partito, perso in un vortice grottesco di nomine, nel valzer di assessori (più di trenta in totale), dirigenti e consulenti, Raffaele ha perso la bussola naufragando rovinosamente. Serve poco gridare al complotto, in quattro anni poco o nulla è stato fatto per l'Isola. La Sicilia, intanto, sprofonda. Ad ottobre si torna a votare.

martedì 24 luglio 2012

Il segno dei tempi

Palermo. Nove e trenta del mattino circa. Esterno giorno.
L'auto si avvicina al semaforo. Rallenta e piano si ferma. Il rosso è appena scattato. Lei è seduta su un piano rialzato del marciapiede. Sembra la classica donna diretta al lavoro. E' vestita bene, truccata con garbo. Si alza e si avvia verso le strisce pedonali.
Di colpo, quasi seguendo un moto interiore improvviso, si gira di scatto e si accosta alla prima auto. L'espressione leggermente spaesata dà l'impressione di chi voglia chiedere un'informazione. Ma così non è. Sin dalle prime parole l'inconfondibile accento palermitano denota la provenienza autoctona della donna, pur senza avere un'inflessione marcata ed esprimendosi in un italiano abbastanza corretto.
Ma a sorprendermi di più è la sua richiesta all'automobilista. Testualmente: "Ho perso il lavoro, non avrebbe una piccola offerta da farmi?". La sorpresa si mescola allo stupore e si dipinge sul mio volto. L'apparenza di una donna in carriera ha lasciato spazio a una delle tragedie del nostro tempo: la perdita del lavoro e la mancanza di possibilità alternative in un mercato immobile.

Si capisce che è la disperazione a spingerla a tanto. Infatti, subito dopo il primo rifiuto non chiede nemmeno alle auto che seguono, ma torna a sedersi, stringendo i pugni, sul piano rialzato del marciapiede. L'espressione è contrita, la rabbia è mal celata, e le lacrime sembrano già fare capolino. Eppure non si scioglie in un pianto. Mantiene la sua dignità fino in fondo. Ma si vede che ha dovuto umiliarsi, e pure tanto, per arrivare a chiedere l'elemosina a un semaforo. Infatti tiene costantemente il viso girato dalla parte opposta alle auto in colonna, quasi ad evitare gli sguardi dei conducenti che sicuramente sente addosso.

Torna il verde, mi allontano con l'auto, ma quella brutta sensazione di un film che presto dovrò abituarmi a vedere più spesso non mi ha abbandonato. E tutto questo accade mentre chi dovrebbe avere a cuore i problemi della nostra Regione e del nostro Paese continua a giocare con milioni di euro di disavanzi di bilancio, con tagli indiscriminati ai servizi pubblici e una pressione fiscale che aumenta a dismisura. Quasi come se avessero un grandissimo Monopoli col quale divertirsi e non la responsabilità di milioni di vite.
Viene da ripensare alla frase di Mussolini, pronunciata poco prima della Seconda Guerra Mondiale: "Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo dei vincitori". In questa "guerra" senza eserciti e senza cannoni, quanti ne pretendono i tecnocrati della vecchia Europa?

venerdì 20 luglio 2012

Tele-Camere


Guardate il volto di quest'uomo, la sua espressione compiaciuta. E' il paradigma di ogni politico, in orgasmo sensoriale davanti a microfoni e telecamere. Osservatelo poi nella sua tracotante spocchiosità, donatagli dalla sicurezza che, come disse l'immortale Marchese del Grillo, lui è lui e noi non siamo un cazzo. Forte della presunta simpatia donatagli dall'imitazione fiorelliana e della scorta che lo protegge non si sa bene da quale pericolo incombente, insulta Mauro Fortini, personaggio ormai noto per essere il "disturbatore che non disturba", la nemesi dell'invadente Gabriele Paolini. Lo etichetta come "rompicoglioni", uno che fa un mestiere inutile e non dignitoso.
Premesso che forse sarebbe il caso di chiedere a La Russa qual è l'utilità sociale del suo mestiere (essendo uno dei principali esponenti di una categoria che dello sfascio del nostro Paese è la causa primaria), preferiamo però sorvolare perché non vogliamo  cadere nel qualunquismo spicciolo.
Quello che ci preme sottolineare è il comportamento dei giornalisti. Che continuano a mettere il palcoscenico a disposizione di certi personaggi. Una volta, una, tutti insieme, si potrebbe dare un segno. Abbassare i microfoni, spegnere le telecamere, salutare educatamente e lasciare lì il La Russa di turno. Così, per solidarietà al collega maltrattato o al Fortini insultato (che immagino dopo anni di apparizioni televisive davanti a Montecitorio conosca uno per uno tutti i cronisti parlamentari). Giusto per fare capire agli "onorevoli" che la loro utilità e legittimità sociale si esaurisce ogni volta che non compaiono in un tg o in un salotto televisivo e che loro sì, senza una telecamera che li riprende, non sono un cazzo. Perché un giornalista, se vuole, un'altra storia da raccontare la troverà comunque. Chissà che allora La Russa, e gli altri come lui, non comincino a fare Politica.

giovedì 12 luglio 2012

Il profumo dei soldi


C'era nebbia. Nonostante questo, ricordo bene il giorno in cui sono sbarcato a Milano. Non che sia passato poi così tanto tempo, solo un anno e mezzo, ma è uno di quei momenti della vita che penso ti porti dentro per sempre. Il giorno in cui abbandoni tutte le tue sicurezze e provi a fare un salto nel buio. Quel venerdì di gennaio a Linate faceva freddo e, nella migliore delle tradizioni meneghine, al crepuscolo si accompagnava quella nebbia che fa tanto stereotipo milanese. Ma tant'è.
Non era il primo impatto con la grande metropoli, nel corso dell'anno precedente avevo già effettuato due soggiorni. La prima volta ero atterrato a Malpensa e, nel tragitto in pullman dall'aeroporto alla stazione centrale, tutto quello che vedevo mi stupiva per le dimensioni. Esagerate. Poi, man mano che mi avvicinavo al centro cittadino, sentivo sempre più forte il profumo di soldi. Quelli che noi a Palermo chiamiamo piccioli, per i milanesi danè. È strano a dirsi ma ho come avuto la sensazione che lì tutto fosse diverso. Che i soldi ci fossero. Era tutto troppo grande. I capannoni industriali, le strade, persino le campagne, piatte così piatte che ti danno la sensazione di non avere una fine se guardi verso l'orizzonte. E poi le insegne della città, i palazzi. Sedi di grosse multinazionali una di seguito l'altra. Certo poi, quando conosci la città, la vivi e prendi contatto con la realtà, capisci che quelli che hanno i piccioli sono ben pochi rispetto alla moltitudine della gente che tira a campare con stipendi che a malapena arrivi a fine mese. C'è pure chi tutto quello che guadagna lo spende solo per il gusto di bruciare la vita, tra vestiti e bevute, conducendo un tenore di vita che non potrebbe sostenere, tanto magari poi aiuta papà. Sì, proprio come succede a Palermo.
Resta il fatto che il profumo dei piccioli a Milano lo senti. L'ho sentito la prima volta che sono atterrato a Malpensa, l'ho sentito quando mi sono trasferito definitivamente l'anno scorso. Che poi uno i soldi a Milano riesca a farli, beh, questo è un altro discorso. Un corto circuito che, prima o poi, fisserò tra le pagine di questo blog. Mi incammino, nel frattempo, con la mia valigia verso l'ignoto.

sabato 7 luglio 2012

I soliti accordi


Lasci la tua terra amata. Un amore non ricambiato, perché lei ha fatto di tutto per farti volare via. Pensi che un giorno tornerai, che le cose possano cambiare. Peccato che in Sicilia ci siano i siciliani. E i siciliani non imparano. La crisi qui non c'entra, la crisi in Sicilia non ci può essere, perché la mancanza di lavoro e di piccioli da noi c'è sempre stata e sempre ci sarà.
Regione di mala sventura. Regione con la R maiuscola, e non solo perché la parola è posta all'inizio della frase. Come disse una giovane vedova nel 1992, loro non vogliono cambiare. E non ci riferiamo, non ci limitiamo ad indicare gli affiliati alle cosche mafiose, ma pensiamo a tutto quel substrato nel quale la mentalità mafiosa prospera, a quei protagonisti delle cronache siciliane che tutto fanno e disfanno, che se ne fottono di tutto e di tutti e continuano a dare onori e prebende alla loro misera corte.
Affamati. È corsa alla poltrona, alla consulenza, allo strapuntino. Un posticino dove posizionare l'amico o l'amico dell'amico si trova sempre. E i siciliani vedono il carro pieno di tesori correre, sempre più lontano, e gettare loro le briciole, che non bastano per tutti. Non bastano nemmeno a loro, gli amici e gli amici degli amici, sempre più affamati.
Quando i siciliani smetteranno di essere sudditi? Ma loro non vogliono cambiare.