martedì 24 luglio 2012

Il segno dei tempi

Palermo. Nove e trenta del mattino circa. Esterno giorno.
L'auto si avvicina al semaforo. Rallenta e piano si ferma. Il rosso è appena scattato. Lei è seduta su un piano rialzato del marciapiede. Sembra la classica donna diretta al lavoro. E' vestita bene, truccata con garbo. Si alza e si avvia verso le strisce pedonali.
Di colpo, quasi seguendo un moto interiore improvviso, si gira di scatto e si accosta alla prima auto. L'espressione leggermente spaesata dà l'impressione di chi voglia chiedere un'informazione. Ma così non è. Sin dalle prime parole l'inconfondibile accento palermitano denota la provenienza autoctona della donna, pur senza avere un'inflessione marcata ed esprimendosi in un italiano abbastanza corretto.
Ma a sorprendermi di più è la sua richiesta all'automobilista. Testualmente: "Ho perso il lavoro, non avrebbe una piccola offerta da farmi?". La sorpresa si mescola allo stupore e si dipinge sul mio volto. L'apparenza di una donna in carriera ha lasciato spazio a una delle tragedie del nostro tempo: la perdita del lavoro e la mancanza di possibilità alternative in un mercato immobile.

Si capisce che è la disperazione a spingerla a tanto. Infatti, subito dopo il primo rifiuto non chiede nemmeno alle auto che seguono, ma torna a sedersi, stringendo i pugni, sul piano rialzato del marciapiede. L'espressione è contrita, la rabbia è mal celata, e le lacrime sembrano già fare capolino. Eppure non si scioglie in un pianto. Mantiene la sua dignità fino in fondo. Ma si vede che ha dovuto umiliarsi, e pure tanto, per arrivare a chiedere l'elemosina a un semaforo. Infatti tiene costantemente il viso girato dalla parte opposta alle auto in colonna, quasi ad evitare gli sguardi dei conducenti che sicuramente sente addosso.

Torna il verde, mi allontano con l'auto, ma quella brutta sensazione di un film che presto dovrò abituarmi a vedere più spesso non mi ha abbandonato. E tutto questo accade mentre chi dovrebbe avere a cuore i problemi della nostra Regione e del nostro Paese continua a giocare con milioni di euro di disavanzi di bilancio, con tagli indiscriminati ai servizi pubblici e una pressione fiscale che aumenta a dismisura. Quasi come se avessero un grandissimo Monopoli col quale divertirsi e non la responsabilità di milioni di vite.
Viene da ripensare alla frase di Mussolini, pronunciata poco prima della Seconda Guerra Mondiale: "Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo dei vincitori". In questa "guerra" senza eserciti e senza cannoni, quanti ne pretendono i tecnocrati della vecchia Europa?

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