Appartengo a una delle categorie più
bistrattate d'Italia, quella dei giornalisti. Stretta tra l'incudine
della crisi dell'editoria e il martello di chi pensa che il lavoro
intellettuale non debba essere pagato. Perché a scrivere siamo buoni
tutti, basta avere un pc (o un tablet o uno smartphone), una
connessione, qualcosa da dire. Poco importa se poi si scrivono
castronerie, bufale, notizie non verificate, peggio ancora
diffamatorie.
Scribo ergo sum. Restiamo aggrappati
alla libertà di espressione sancita dall'Articolo 21 della
Costituzione italiana, quello stesso sacrosanto diritto che ci fa
dire #jesuischarlie ma che contemporaneamente permette a sconsiderati
senza cervello di straparlare. Ultimo inquietante caso i commenti alla notizia della malattia di Emma Bonino, anche lei appartenente ad
una casta, e per traslato per molti idioti meritevole di morire tra
atroci dolori. Possa così espiare le sue colpe.
Siamo una casta. Abbiamo il potere di
informare, di influenzare opinioni. Anche quando siamo pagati tre
euro lordi a notizia. Perché tanto se non accetti di scrivere tu per
quelle cifre lì, ci sarà sempre la fila di ragazzini alle prime
armi pronte a farlo al posto tuo, pur di prendere l'agognato
tesserino, pur di vedere la loro firma su un giornale, fosse anche il
blog più scalcinato.
Il lavoro si paga, soprattutto quello
intellettuale. Non di soli operai, artigiani e idraulici può
sostenersi un Paese. I direttori e le grandi firme si fanno belli in
tv, loro sì una casta che parla a vanvera di precariato, mentre
migliaia di collaboratori sfruttati riempiono i loro giornali
lavorando dalla mattina alla sera sette giorni su sette. E con i
giornalisti anche tutti coloro che per mestiere lavorano nel campo
della comunicazione e dell'editoria. Ultima ruota di un carro che
senza di loro però sbanderebbe, finendo nel fossato.
Non abbiamo diritti, nei giornali non
troverete mai la nostra voce, le nostre lamentazioni. Troverete solo
quelle degli altri lavoratori, spesso sacrosante, cui facciamo da
megafono. E mentre ne scriviamo, mentre vi raccontiamo, pensiamo a
noi, che non possiamo pagare l'affitto, le bollette, che dipendiamo
economicamente da qualcun altro, mamma e papà, o il nostro partner.
Su di noi il silenzio, l'indifferenza. Veniamo tacciati di essere dei
pennivendoli, schiavi degli editori. È vero, spesso è la realtà,
ma sfido voi ad essere liberi di pensiero se prima non siete liberi
di portafoglio. La dimensione romantica della professione è finita
da decenni. Tante volte penso che siamo come quei ragazzi che
lavorano nei call center, costretti a fregare la gente pur di portare
a casa la pagnotta. Se ci ribelliamo ci ritroviamo con un pugno di
mosche, non importa quanto bravi possiamo essere. E rischiamo che
attorno ci sia fatta terra bruciata.
Il lavoro si paga, non siamo una casta.
Ma all'esterno tanti pensano che noi lo siamo. Paghiamo lo scotto
della nostra incapacità di fare capire che per scrivere, raccontare,
informare, serve un filtro, che solo un professionista può fare. Non
ci si improvvisa giornalisti o comunicatori, non si può fare
affidamento solo sul proprio talento, per molti solo presunto,
velleitario.
Mi stanno bene i blog. Adoro leggerli, scrivo
sui blog dal 2006. Penso che molti blogger siano più in gamba di
tanti sedicenti giornalisti. Il citizen journalism è una fonte
inesauribile di notizie. Ma nel marasma della Rete girano troppe
porcate non verificate, si dà spazio a tutti indiscriminatamente.
Vige la logica del click, non della veridicità. La stessa formula
l'abbiamo applicata a tv e carta stampata, la cui qualità scende di
pari passo al dilettantismo dilagante.
Brutte notizie arrivano dalla mia amata
Sicilia. Ecco così che il notiziario di Tgs,
uno dei più visti dell'isola, mette in cassa integrazione dimezzata
tecnici ed operatori, lasciando senza lavoro tredici
persone, e taglia le collaborazioni ai giornalisti. Tutto affidato a
un service esterno che confezionerà servizi a basso costo con un solo collaboratore.
Rinunciare a figure professionali di alto profilo appare una logica
sconclusionata figlia di un progetto editoriale che non esiste. Le
alte sfere di via Lincoln probabilmente dovrebbero capire che è
arrivato il momento di passare la mano a qualcun altro. Siamo nel
2015, un telegiornale solo “letto” senza servizi e con
autoproduzioni di qualità mediocre è totalmente fuori dal mercato.
Ecco così che un assessore regionale si sente libero di cercare su facebook un addetto
stampa “rigorosamente”, tiene a specificare, a titolo gratuito.
Salvo poi scusarsi, cancellare il post e dire che era tutto uno
scherzo. Spero scherzassero anche i colleghi, o aspiranti tali, che
si erano già proposti al ruolo. Tutti pronti ad una vita spericolata
certo. È senza dubbio spericolato lavorare anche sedici ore al
giorno gratis (l'addetto stampa di un politico credo sia uno dei
lavori più usuranti che ci siano, sei reperibile 24/7) e nonostante
tutto riuscire a sbarcare il lunario.
Si fa presto a dire casta.
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