Il cortocircuito odierno prende spunto
da un articolo pubblicato sul sito de “L'Espresso”, dove la
giornalista ci racconta che le selezioni per “giovani neolaureati
ad alto potenziale per ricoprire la posizione di sales account in una
società leader nel settore delle vernici” in Liguria, Basilicata e
Molise da parte di Execo, società che si occupa di selezione e
formazione del personale, sono andate tragicamente deserte. I pochi
candidati che hanno risposto all'annuncio, contattati dalla stessa
Execo, avrebbero poi declinato l'offerta. Paradossale, se
consideriamo l'altissimo tasso di disoccupazione giovanile (e non
solo) in Italia.
Grattando la superficie della notizia,
però, vengono fuori alcuni elementi che ci fanno nascere spontanee
delle domande che, forse, la nostra più titolata collega si sarebbe
dovuta porre. In primo luogo, manca la controprova, il
contraddittorio. Nel pezzo non si sente l'altra campana, i giovani
che hanno rifiutato l'allettante contratto di apprendistato che
prevedeva, tra l'altro, “22
mila euro lordi l’anno, auto, telefono aziendale e altri benefit”.
Possibile che nessuno, ma proprio nessuno, abbia voluto mettersi alla
prova, tentare la carta di questo lavoro, se le condizioni del
contratto erano queste, così vantaggiose per un ragazzo privo o
quasi di esperienza? Ma tant'è, probabile che all'autrice del pezzo non siano stati forniti i nomi dei candidati. La pratica del diniego, che avvalorerebbe la
vulgata degli italiani bamboccioni, pare poi molto diffusa, a quanto
scrive “L'Espresso”. Il giornale cita infatti casi analoghi di
società che dovevano selezionare neolaureati per “una rinomata
azienda veneta, operante nel settore della moda” e per la H3G, che
addirittura cerca invano un migliaio di commerciali in tutta Italia.
Qui
cala un attimo il velo di mistero che avvolge la storia. “Un lavoro
non banale, che consiste nel battere a tappeto le piccole e medie
aziende del territorio per offrire contratti telefonici”, scrive la
giornalista riguardo H3G. Dietro il prestigioso termine inglese di
sales account si cela, banalmente, il più classico dei lavori porta
a porta. E ci sono altre considerazioni da fare. A parte che conosco
fior di laureati, miei ex colleghi universitari, che per sbarcare il
lunario hanno chiuso a chiave i loro sogni di giornalisti (entrate
vicine allo zero per anni e anni, per molti anche per tutta la
carriera) e battono in lungo e in largo la Sicilia e la Lombardia
dodici ore al giorno alla ricerca di clienti in cambio di guadagni
incerti e nebulose provvigioni. Ma poi, mi chiedo, per rompere le
scatole (questo è ciò che appare agli occhi della gente un sales
account/venditore, un rompiballe), serve veramente la laurea? Non è
lecito aspettarsi che un neolaureato voglia qualcosa in più dalla
sua carriera? In un mercato del lavoro che si dice flessibile ma che
flessibile non è (se non solo nella durata dei contratti) avere una
certa esperienza in un determinato settore ti segna il curriculum,
verrai contattato solo per quello. In un certo senso ti limita, ti
fotte.
Per
vendere non servono altre capacità, soprattutto indole e carattere,
affidabilità, che difficilmente si imparano nel corso degli studi
universitari? In questo caso rivolgersi esclusivamente ad under 30
non preclude alla stessa azienda che cerca sales account la
possibilità di valutare/assumere tutto un bacino di persone che
potrebbe fare al caso loro, magari perché capello bianco significa
esperienza nel campo della vendita che forse porterebbe
contratti/profitto all'azienda stessa? Perché per ricevere un vaffa
da una segretaria, da un imprenditore o da un privato che stai
disturbando, al telefono, presso l'azienda o a domicilio, una laurea
non serve.
Qui
non parliamo di storture dell'Università che non forma abbastanza
ingegneri e ci riempie invece di dottori in Lettere, Filosofia,
Scienze della Comunicazione, per i maghi del fatturato tutta
gentaglia che non ha voglia di sgobbare, con la cultura non si
mangia, che andassero a zappare i campi piuttosto. Sono i criteri di
selezione che non funzionano. Sono le aziende che abusano del lavoro flessibile a non funzionare,
perché si sono messe in testa di formare (a costo zero) per posizioni
che non necessitano di formazione e di cercare gente già formata per
le posizioni dove invece il buon senso vorrebbe che fosse l'azienda
stessa a formare (perché ognuna è un microcosmo indipendente, se
cambi azienda anche se quel lavoro lo hai già fatto sempre da zero
ripartirai). Come non funzionano le agenzie di lavoro interinale, che
hanno dei database immensi che non si sa a cosa servano, ai quali non
attingono per le loro ricerche, che riempiono giornali e bacheche di
siti online con annunci di lavoro fake, agenzie di lavoro interinale
le cui sedi della stessa società non comunicano tra loro, proponendo
a qualche sventurato disoccupato la stessa proposta di lavoro per
mesi, anni, certe volte anche in simultanea. Ma di questo si parlerà
in un altro post.
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