martedì 16 dicembre 2014

Sui bamboccioni d'oggi

Il cortocircuito odierno prende spunto da un articolo pubblicato sul sito de “L'Espresso”, dove la giornalista ci racconta che le selezioni per “giovani neolaureati ad alto potenziale per ricoprire la posizione di sales account in una società leader nel settore delle vernici” in Liguria, Basilicata e Molise da parte di Execo, società che si occupa di selezione e formazione del personale, sono andate tragicamente deserte. I pochi candidati che hanno risposto all'annuncio, contattati dalla stessa Execo, avrebbero poi declinato l'offerta. Paradossale, se consideriamo l'altissimo tasso di disoccupazione giovanile (e non solo) in Italia.

Grattando la superficie della notizia, però, vengono fuori alcuni elementi che ci fanno nascere spontanee delle domande che, forse, la nostra più titolata collega si sarebbe dovuta porre. In primo luogo, manca la controprova, il contraddittorio. Nel pezzo non si sente l'altra campana, i giovani che hanno rifiutato l'allettante contratto di apprendistato che prevedeva, tra l'altro, “22 mila euro lordi l’anno, auto, telefono aziendale e altri benefit”. Possibile che nessuno, ma proprio nessuno, abbia voluto mettersi alla prova, tentare la carta di questo lavoro, se le condizioni del contratto erano queste, così vantaggiose per un ragazzo privo o quasi di esperienza? Ma tant'è, probabile che all'autrice del pezzo non siano stati forniti i nomi dei candidati. La pratica del diniego, che avvalorerebbe la vulgata degli italiani bamboccioni, pare poi molto diffusa, a quanto scrive “L'Espresso”. Il giornale cita infatti casi analoghi di società che dovevano selezionare neolaureati per “una rinomata azienda veneta, operante nel settore della moda” e per la H3G, che addirittura cerca invano un migliaio di commerciali in tutta Italia.

Qui cala un attimo il velo di mistero che avvolge la storia. “Un lavoro non banale, che consiste nel battere a tappeto le piccole e medie aziende del territorio per offrire contratti telefonici”, scrive la giornalista riguardo H3G. Dietro il prestigioso termine inglese di sales account si cela, banalmente, il più classico dei lavori porta a porta. E ci sono altre considerazioni da fare. A parte che conosco fior di laureati, miei ex colleghi universitari, che per sbarcare il lunario hanno chiuso a chiave i loro sogni di giornalisti (entrate vicine allo zero per anni e anni, per molti anche per tutta la carriera) e battono in lungo e in largo la Sicilia e la Lombardia dodici ore al giorno alla ricerca di clienti in cambio di guadagni incerti e nebulose provvigioni. Ma poi, mi chiedo, per rompere le scatole (questo è ciò che appare agli occhi della gente un sales account/venditore, un rompiballe), serve veramente la laurea? Non è lecito aspettarsi che un neolaureato voglia qualcosa in più dalla sua carriera? In un mercato del lavoro che si dice flessibile ma che flessibile non è (se non solo nella durata dei contratti) avere una certa esperienza in un determinato settore ti segna il curriculum, verrai contattato solo per quello. In un certo senso ti limita, ti fotte.

Per vendere non servono altre capacità, soprattutto indole e carattere, affidabilità, che difficilmente si imparano nel corso degli studi universitari? In questo caso rivolgersi esclusivamente ad under 30 non preclude alla stessa azienda che cerca sales account la possibilità di valutare/assumere tutto un bacino di persone che potrebbe fare al caso loro, magari perché capello bianco significa esperienza nel campo della vendita che forse porterebbe contratti/profitto all'azienda stessa? Perché per ricevere un vaffa da una segretaria, da un imprenditore o da un privato che stai disturbando, al telefono, presso l'azienda o a domicilio, una laurea non serve.

Qui non parliamo di storture dell'Università che non forma abbastanza ingegneri e ci riempie invece di dottori in Lettere, Filosofia, Scienze della Comunicazione, per i maghi del fatturato tutta gentaglia che non ha voglia di sgobbare, con la cultura non si mangia, che andassero a zappare i campi piuttosto. Sono i criteri di selezione che non funzionano. Sono le aziende che abusano del lavoro flessibile a non funzionare, perché si sono messe in testa di formare (a costo zero) per posizioni che non necessitano di formazione e di cercare gente già formata per le posizioni dove invece il buon senso vorrebbe che fosse l'azienda stessa a formare (perché ognuna è un microcosmo indipendente, se cambi azienda anche se quel lavoro lo hai già fatto sempre da zero ripartirai). Come non funzionano le agenzie di lavoro interinale, che hanno dei database immensi che non si sa a cosa servano, ai quali non attingono per le loro ricerche, che riempiono giornali e bacheche di siti online con annunci di lavoro fake, agenzie di lavoro interinale le cui sedi della stessa società non comunicano tra loro, proponendo a qualche sventurato disoccupato la stessa proposta di lavoro per mesi, anni, certe volte anche in simultanea. Ma di questo si parlerà in un altro post.

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